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martedì 26 agosto 2025

Dumbo (1941)

TITOLO: Dumbo, l’elefante volante

TITOLO ORIGINALE: Dumbo

PRODUZIONE: Walt Disney Pictures

MUSICA: Frank Churchill, Oliver Wallace, Ned Washington

REGIA: Ben Sharpsteen

PAESE: Stati Uniti

DURATA: 64 minuti

ANNO: 1941


TRAMA


In un circo della Florida, le cicogne arrivano una notte, portando a ciascun animale i propri piccini. La mattina seguente una di esse consegna tardivamente il pacco alla Mamma Elefante Jumbo, che chiama il suo cucciolo col nome Dumbo. L’elefantino però ha una particolarità: le sue orecchie sono grandi oltremisura, e per questo motivo diventa subito oggetto di scherno nel circo, e questo fa oltremodo infuriare la madre, che viene ingabbiata come elefante matto. Di fronte a questa situazione difficile, il piccolo Dumbo si ritrova a dover cercare il proprio riscatto, con l’aiuto del topolino Timothy, che farà di tutto per tirare fuori il meglio dal suo giovane amico.


RECENSIONE


Come è spesso consono di Walt Disney, anche questo film è basato su un’opera letteraria, realizzata da Helen Aberson e Harold Pearl. La Disney traspone la storia dando vita a qualcosa che ha emozionato ogni generazione a venire, e continua a farlo, sempre molto più della sua trasposizione live action, che ha riscontrato molte critiche negative, per le quali lo stesso Tim Burton si è dimostrato pentito di aver diretto l’adattamento.


Sebbene sia chiaramente un’opera infantile, tuttavia Dumbo è in grado di affascinare persino i grandi, offrendo al pubblico adulto un momento per rigodere della semplicità dell’infanzia, di quell’incanto che tutti abbiamo avuto da bambini. Nei primi minuti vediamo la scena delle cicogne che consegnano i pacchi, la quale ci allieta mostrandoci, anche se in modo fiabesco ed edulcorato, la gioia immensa del veder nascere nuove creature. L’arrivo del piccolo Dumbo sembra dapprima allietare l’atmosfera, ma in seguito alla scoperta del suo difetto fisico, tutto diventa subito difficile, sia per lui che per la madre. Eppure Mamma Jumbo dimostra fin dal principio di provare un amore incondizionato per il suo piccino, e oltre a questo anche di avere una grande forza d’animo, perché non tutti i genitori riescono ad accettare di avere dei figli diversi. In un contesto reale, le orecchie grandi di Dumbo sarebbero equivalse ad una deformità, ma è proprio questo ciò che rende immenso l’amore della madre. Una delle scene più forti è rappresentata dal momento in cui la Signora Jumbo perde il controllo, di fronte al bullismo subito dal figlio. È una scena drammatica, che può anche fare paura, soprattutto ai bambini, però grazie ad essa si percepisce quanto è grande la difficoltà che vive Dumbo, il quale, per questo incidente, subisce ancora di più l’isolamento, accusato di aver indotto la mamma alla follia.



Un’altra scena molto forte è quella degli elefanti rosa, tramite la quale veniamo trasportati in una dimensione totalmente astratta. Il momento di ebrezza di Dumbo e Timothy, che subiscono tali allucinazioni, è funzionale perché in seguito essi scoprano che il piccolo può volare, però è anche una sequenza nella quale Disney ci dà un attimo di stacco per giocare ancora con la fantasia.


Ci sono alcune piccole imprecisioni. Una di queste è il momento in cui una delle signore elefanti definisce Dumbo un assassino, un’accusa che non si può dire fondata perché il cucciolo non ha certo ucciso o provocato la morte di qualcuno; inoltre, nella sequenza con i corvi il topolino Timothy dice che l’elefantino è orfano, ma non è esatto, perché la mamma, sebbene sia prigioniera, è ancora viva di fatto. C’è anche da dire che l’amicizia di Timothy nei confronti di Dumbo non è molto motivata. È certamente bello che sia incondizionata, e che il topolino provi pietà per il cucciolo, però perché fin dal principio lo considera un amico? Sarebbe stato più sensato se fosse stato palesato al meglio cosa vedeva di bello in Dumbo.


Le recenti politiche hanno bollato questo film per la presenza di contenuti razzisti, eppure la Disney ha realizzato un’opera che trasmette l’accettazione del diverso e il suo diritto di autoaffermazione, raccontando la storia del piccolo Dumbo e del suo disagio dovuto al suo aspetto. Gli eventi vengono raccontati in modo fiabesco, eppure Dumbo c’insegna che anche una semplice fiaba può avere in sè molti significati.


Voto: 4,5/5





venerdì 18 aprile 2025

Fantasia



TITOLO: Fantasia

 

TITOLO ORIGINALE: Fantasia

 

PRODUZIONE: Walt Disney Production

 

MUSICA: vari artisti classici

 

REGIA: vari registi

 

PAESE: Stati Uniti

 

DURATA: 124 minuti

 

ANNO: 1940


TRAMA


Presento oggi un Classico Disney certamente unico, tra i tanti lungometraggi che hanno reso la Walt Disney celebre in tutto il mondo, e particolare, poichè non presenta una vera e propria trama, non un’unica trama, per meglio dire. Sto parlando di Fantasia. Esso è una raccolta di otto segmenti di trama. Per meglio intenderci, non tutti i segmenti hanno una trama specifica, però ognuno di essi regala immagini mozzafiato e fantasiose.


RECENSIONE




È con grande piacere che oggi vi parlo di questo Classico eccezionale, Fantasia, un’opera con la quale Walt Disney dimostra ancora la sua genialità, dando forma a immagini, sia astratte che definite, le quali sono in grado di portare la mente dello spettatore in una dimensione onirica, facendogli provare il brivido di vivere un sogno da sveglio. La realizzazione di questo incredibile filmato è stato un’altra grande sfida per Walt, fatta di molti alti e bassi, però è stata una scommessa ben giocata, poiché una tale pellicola è ancora in grado d’incantarci, fra la meraviglia di figure sia surreali che mitologiche, e il timore suscitato dalla presenza di demoni e creature della notte.

L’idea di partenza doveva essere un cortometraggio basato sulla ballata L’apprendista Stregone, con protagonista Topolino. Successivamente l’idea si estese, raccogliendo i diversi segmenti che oggi conosciamo.
Il primo di essi è un semplice concerto della Toccata in Fuga in Re Minore di Bach, nel quale vediamo i musicisti operare su sfondi colorati ed effetti speciali. L’esibizione dell’orchestra si alterna con immagini animate astratte, che intendono rappresentare ciò che la mente umana può immaginare ascoltando il brano, trasportando lo spettatore in una realtà del tutto onirica, dove non esistono spazio e tempo, e l’unico limite è l’immaginazione.
Il secondo segmento riprende la suite dello Schiaccianoci, uno dei più grandi pezzi classici, nel quale però vediamo ancora immagini fittizie, sebbene con forme più definite, e va ben al di là della rappresentazione della fiaba a cui il pezzo musicale è dedicato. Fate che guidano i processi naturali, facendo sbocciare fiori, illuminando il mondo che sta per risvegliarsi; pesci dall’aspetto enfatizzato che danzano negli abissi, con movimenti sinuosi ed eleganti, sulle note della Danza Araba; funghi che assomigliano a un gruppo di cinesi e fiori che fanno balletti russi… tutto questo ci porta a scoprire realtà che forse soltanto la mente visionaria di Walt Disney è stata in grado di illustrare.
Dopo questo segmento, si apre una lunga prospettiva sulla storia dell’Universo e della Terra, con in sottofondo la Sagra della Primavera. Anche in questo caso, gli animatori della Disney hanno pensato a ben altro che a ciò che il componimento voleva essere, nonchè una rappresentazione di danze tribali. È sorprendente come la Disney abbia saputo dare un tocco di magia all’Origine dell’Universo, ad un processo naturale e scientifico, facendoci provare un brivido di curiosità e inquietudine nel farci immaginare di ritrovarci nel nulla assoluto, per poi passare alla nascita delle stelle, di tutti gli astri, e del nostro pianeta.
A questo segmento, seguono altre immagini astratte, che visualizzano le sensazioni dei suoni dei diversi strumenti musicali, come il violino, il flauto, l’arpa e altri.
Veniamo poi immersi in un ambiente mitologico, abitato da satiri, unicorni, fauni e governato da antiche divinità. Questo è uno dei migliori segmenti, uno di quelli che più sono in grado di incantarci, narrandoci una realtà idilliaca e paradisiaca, che ci porta a immaginare un mondo armonioso, dove ogni creatura vive in armonia con la natura e in libertà, e dove anche i momenti più bui, rappresentati dall’arrivo della tempesta, trascorrono portando paura e caos, ma purtuttavia sono solo temporanei, e passano per poi lasciare spazio a speranza e pace.
Il penultimo arco illustra la Danza delle ore, ambientandola in un lussuoso palazzo di Venezia, dove struzzi, ippopotami, elefanti e coccodrilli svolgono forse le loro attività giornaliere sulle corde della danza classica, e in modo umoristico, dando allo spettatore anche momenti per ridere.
Ed infine segue un segmento dove si combinano Una notte sul Monte Calvo e l’Ave Maria, uno dei pezzi di animazione più inquietanti mai realizzati dalla Disney, che ci porta a esplorare atmosfere sataniche e demoniache, seguite poi dalla vittoria del Bene sul Male, dal trionfo della Vita sulla Morte, col volgere dell’alba e di una processione religiosa.



Non sono presenti dialoghi. La sola voce che sentiamo è quella di Deems Taylor, il presentatore che, tra un segmento e l’altro, spiega cosa in ognuno di essi viene raccontato, presentando specificatamente i brani suonati dall’Orchestra di Philadelphia e diretti dal maestro Leopold Stokowski e designando se e quali differenze ci sono fra quello che i pezzi vogliono rappresentare e le idee che essi hanno ispirato alla Disney.
Non c’è molto da dire sui personaggi, dato che essi sono decisamente stereotipizzati, e lo scopo di Fantasia non è tanto farci esplorare le emozioni che possono trasmettere gli attori, quanto piuttosto fare emozionare lo spettatore stesso, dandogli un momento per sognare. La pellicola è stata sottoposta, negli anni, a tagli, rivisitazioni e censure. Nel segmento mitologico, infatti, è stata tagliata la presenza della centaurina afro, dal momento che, col cambio dei tempi, una tale visione è diventata una palese manifestazione di razzismo. Quale che sia l’importanza che si voglia attribuire a questo personaggio e al taglio che è stato fatto, Fantasia rimane senza dubbio un bel progetto, un progetto che non smette mai di farci sognare.
Il progetto Fantasia fu però un enorme fallimento all’epoca della sua uscita, sebbene oggi sia considerato un grande classico. Il flop fu dovuto, in primis, al fatto che il pubblico era abituato ad aspettarsi una trama dotata di un determinato svolgersi degli eventi, come i due precedenti lungometraggi. In secondo luogo, l’idea da cui la pellicola era partita fu considerato pacchiano, per non parlare anche delle accuse di razzismo dovute proprio alla presenza della centaurina di etnia africana. Tuttavia, la realizzazione del filmato risulta ben riuscita. In esso si mescolano surrealismo e astrattismo, e il che lo rende interessante anche da un punto di vista psicologico, dato che ci porta a chiedere cosa potrebbero esprimere delle immagini così oniriche, che mente potrebbe esserci dietro, e ci induce ad esplorare appieno diversi tipi di emozioni, da quelle più allegre e serene, a quelle più paurose e ansiose. Fantasia è in grado di farci provare sia gioia che orrore, sia serenità che incanto, tutto attraverso i diversi universi che possiamo esplorare in essa. Vedere Fantasia è come vivere un sogno da svegli. Tra i diversi segmenti rappresentati, uno dei più belli è quello dello Schiaccianoci, dove vediamo fatine che, danzando, aiutano la natura a seguire i suoi processi e pesci dall’aspetto raffinato ed elegante che fluttuano nell’oceano. Se siamo anche curiosi di provare il brivido, sotto questo punto di vista il migliore è l’ultimo segmento, nel quale vediamo il demonio celebrare, insieme a demoni, streghe e spiriti, la notte di Valpurga; ma non c’è niente da temere, perché dopo questa parte ansiogena segue un’atmosfera serena sulle note del brano di Franz Schubert. Se vogliamo ridere, invece, il miglior segmento è il penultimo, dove vediamo simpatici struzzi, ippopotami, elefanti e coccodrilli che, danzando, giocano allegramente.

Voto: 5/5





giovedì 20 marzo 2025

Pinocchio



TITOLO: Pinocchio


TITOLO ORIGINALE: Pinocchio


 PRODUZIONE: Walt Disney Production


 MUSICA:  Leigh Harline, Paul J. Smith


 REGIA: Hamilton Luske, Ben Sharpsteen


 PAESE: Stati Uniti


 DURATA: 88 minuti


 ANNO: 1940


TRAMA


La fiaba italiana scritta da Carlo Collodi viene trasposta in questo Classico Disney che ha incantato molti bambini e ci porta alla scoperta delle avventure del burattino vivente che sogna diventare un bambino vero, in carne e ossa. Ma che cosa significherà diventare un bambino vero? Che cosa dovrà fare Pinocchio per realizzare questo sogno, nato dal desiderio del falegname Geppetto che no ha mai avuto un figlio vicino?


RECENSIONE




C'è una stella su nel ciel
Che ogni sogno può appagar
E la gioia più serena sa donar

Quest’oggi vi parlo del secondo Classico Disney, appartenente alla Golden Age. Un film del 1940, sto parlando di Pinocchio, basato sull’omonima opera letteraria italiana di Carlo Collodi, che i nostri genitori ci hanno letto quando eravamo piccoli (e chissà se attualmente viene ancora tramandata ai piccoli delle nuove generazioni?). Con questo progetto, la Disney si propone ancora di trasporre la tradizione fiabesca europea, passando dai Fratelli Grimm alla dimensione italiana, dando però un tocco germanico alle ambientazioni e ai personaggi, tra cui lo stesso Pinocchio che viene reso con uno stile tirolese con tanto di occhi azzurri (forse come omaggio al nazismo, se consideriamo la tanto vociferata adesione di Walt a esso, o forse per contrastare il proibizionismo imposto da Hitler nei confronti del cinema di Hollywood). Un film che ha fatto sì che il burattino diventasse un’icona mondiale, simbolo dell’infanzia.

La trama è apparentemente scontata. Tutti sappiamo chi è Pinocchio, famoso per le sue bugie che gli fanno allungare il naso, altrettanto noto il buon papà Geppetto, e il paese dei balocchi dove i ragazzini svogliati vivono un’apparente libertà per poi ritrovarsi trasformati in somari. Ma solo dopo aver letto il libro, o quanto meno aver visto la versione Disney, una delle più famose trasposizioni a livello globale, possiamo dire di sapere come si svolgono e come si evolvono gli eventi. Naturalmente, considerata la durata di questo film, non possiamo aspettarci di trovarvi raccontati tutti gli eventi per filo e per segno. La trasposizione disneyana riprende quelli che forse sono i fatti più importanti, che caratterizzano di più lo sviluppo del protagonista e il suo apprendimento. La trama non solo salta molte parti, ma è anche molto semplificata, andando del tutto al di fuori dei toni di Carlo Collodi ed entrando in quelli che oggi sono considerati gli schemi tipicamente disneyani. Nella storia originale, Pinocchio già prima di diventare un burattino, quando è un solo un pezzo di legno, è in grado di parlare e di pensare, ma qui viene animato dalla Fata Turchina.
I personaggi, però, qui si presentano ancora piuttosto stereotipizzati. Sebbene Pinocchio, come tutti i bambini, deve chiaramente imparare, tuttavia non si percepisce la sua evoluzione, poiché nonostante la sua ingenuità e incoscienza, tuttavia viene presentato come un personaggio fondamentalmente buono, che si fa semplicemente trascinare dagli eventi, questo al fine di esaltare il lato positivo dell’infanzia e l’innocenza dei bambini. Se si va a leggere l’opera d’ispirazione, il dinamismo del personaggio è di gran lunga più marcato, capace di esternare anche i suoi lati più immaturi e ribelli, prima di diventare un bambino buono. Persino Geppetto viene reso molto meno umano, rispetto all’opera collodiana, nella quale è di gran lunga più burbero e severo, e viene invece trasformato in un papà amorevole e giocoso. A essere dinamico, nel film, è forse soltanto il Grillo Parlante, che attraversa alti e bassi nel suo ruolo di coscienza per Pinocchio, manifestando sia il suo lato paziente e saggio, che quello rabbioso. Il resto dei personaggi mantiene molto la propria immagine. Ovviamente, non mi astengo dal prendere in considerazione la datazione del Classico Disney. All’epoca della sua uscita l’animazione, e forse il cinema in generale, erano ancora in una fase di sviluppo, di conseguenza so di non potermi aspettare dei personaggi caratterizzati in modo realistico e una trama più credibile.



E se a lei tu schiudi il cuor
Con fiducia, con amor
Quella stella su nel ciel
T'ascolterà

Il modo in cui vengono sviluppati gli eventi hanno comunque poco in comune con lo spirito dell’opera originaria, che insegna l’importanza dell’educazione e del rispetto, oltre a quella di non dire bugie, che nel nostro suddetto film è l’unico difetto che hanno rappresentato del protagonista. I valori che l’opera vuole insegnare non sono molto esaltati, dato che il Pinocchio disneyano ha poche o nessuna pecca. Certamente il personaggio impara a non essere un burattino manovrato dagli altri, come vuol essere il suo stesso personaggio originalmente, però le ragioni per cui si caccia nei guai non sono dettate da scelte incoscienti, ma da semplice ingenuità. È proprio tutto questo che fa perdere il dinamismo a Pinocchio, da quale esso è fondamentalmente caratterizzato. Il film si discosta completamente dalla crudezza del romanzo d’ispirazione, affiliandosi con l’ottimismo del sogno americano, espresso nella canzone When you wish upon a star, brano che è diventato l’inno della Disney, contenente in sè la sua filosofia, e che viene menzionato nel corto uscito per i 100 anni della casa di produzione e nel film Wish. Molte cose sono state addolcite, tra cui gli stessi personaggi, che sono anche piuttosto piatti e non hanno sfumature. Lo spettatore, guardando Pinocchio, non si sente ancora pienamente coinvolto negli eventi, e non entra in empatia coi personaggi, tranne forse con il Grillo, il film viene visto con un punto di vista completamente esterno, con l’occhio solo dello spettatore, che non prova ancora un contatto diretto coi personaggi. La pellicola presenta ancora un’impronta fiabesca, per la quale il protagonista è sempre buono, senza ombre e luci, le quali sono divise per dicotomie tra i personaggi.
Andando a guardare specificatamente le canzoni, riprendiamo un attimo la già sopra citata, che ha dei toni molto soavi e trasmette la speranza che essa si pone di esprimere, il ritmo lento le conferisce anche un’impronta spirituale. Ponendo il testo italiano a confronto con quello originale, la trasmissione del concetto che la canzone ha in sè viene ben espresso anche nell’adattamento italiano. Oltre a questa, la migliore è Hi Diddle-dee dee, la canzone della volpe mentre cerca, insieme al suo compagno mattacchione, il gatto, di persuadere Pinocchio a diventare un attore, che ha un ritmo molto allegro e giocoso.

Senz’altro, comunque, il Pinocchio disneyano rimane un’importante capolavoro che ha posto le basi per tutto il mondo dell’animazione. Si dimostra più realistico, rispetto a Biancaneve, da un punto di vista grafico, e inoltre pone anche alcune fondamenta per quelli che saranno i più grandi Classici, tra cui la presenza di un animale fedele, quale è il Grillo.



Essa legge nel pensier
Ogni cuore sa scrutar
Ed il sogno tuo sincer
Appagherà

Voto: 3/5




giovedì 27 febbraio 2025

Biancaneve e i Sette Nani



TITOLO: Biancaneve e i Sette Nani

TITOLO ORIGINALE: Snowhite and the Seven Dwarfs

MUSICA: Frank Churchill, Leigh Harline, Paul J. Smith

PRODUZIONE: Walt Disney Productions

REGIA: David Hand

PAESE: Stati Uniti

DURATA: 83 minuti

ANNO: 1937

TRAMA

Una bellissima e innocente principessa di nome Biancaneve, dalla pelle candida come la neve e la labbra rosse come ciliegie, cade vittima del’invidia della malvagia e vanitosa matrigna, la quale, temendo che la bellezza della figliastra possa surclassarla, trama per ucciderla. Presa di coscienza di questo terribile complotto, la ragazza fugge nella foresta, lontano dalla reggia, e troverà rifugio in una casetta abitata da sette nani che, incantati dalla sua bellezza, la accolgono calorosamente.

RECENSIONE



Specchio, servo delle mie brame
chi è la più bella del reame?

Erano gli anni ‘30 del XX secolo quando Walt Disney in persona ideò questo intramontabile lungometraggio che segnò l’inizio di una produzione di film animati che ancora oggi resiste fra alti e bassi, Biancaneve e i Sette Nani, una fiaba che ancora oggi c’incanta e ci affascina, ispirata alle famose opere letterarie dei Fratelli Grimm.

La trama pone delle basi semplici, ma tuttavia sviluppate in modo chiaro e conciso, con dei toni degni di una fiaba, qual vuol essere la storia di Biancaneve. Nonostante la sua semplicità, tuttavia il film è in grado di emozionare persino gli adulti, poiché c’è un giusto equilibrio fra gli aspetti infantili e quelli più vicini alla dimensione dello spettatore adulto. Uno dei momenti più forti è la scena della fuga di Biancaneve nella foresta nera, una parte che ha in sè molto pathos, ed è una delle cose più geniali che la Disney ha fatto, poiché ha rappresentato in modo eccelso il terrore che la principessa prova in quel frangente, in seguito al tradimento che avverte da parte della matrigna. Una scena che riesce a farci percepire le emozioni forti della ragazza, che è in preda ad un angoscia altrimenti indescrivibile. E non solo questo, ma anche la scena della trasformazione della regina Grimilde in una povera vecchietta è un altro momento forte, che ci ha incantato e al tempo stesso spaventato, soprattutto quando eravamo piccoli. Tutto questo è oggi cosa rara, nella Disney, che col tempo ha assunto dei toni sempre più dolci e poco inclini a scavare i lati più oscuri della nostra psiche.
Per quanto riguarda i personaggi, uno dei migliori è il nano Brontolo, che a molti spettatori è sempre risultato antipatico, e per altri è considerato un modello di vita. Effettivamente, Brontolo è un personaggio cinico, e fra i nani è l’unico che, inizialmente, si dimostra scettico nell’accoglienza di Biancaneve, temendo che lei possa tirargli addosso le ire della regina. Tuttavia Brontolo è un buon personaggio proprio per il suo cinismo, poiché, tralasciando il fatto che se fra i buoni non ci fosse almeno uno che crei disguidi sarebbe tutto noioso, il personaggio scettico è sempre utile per far da tramite tra la realtà di cui fa parte lo spettatore e quella di cui fanno parte i personaggi, è la voce del dubbio, la voce del mondo reale.



Oggi che ti ho trovata
ed amata, resta con me

Oltretutto, ciò che piace di Brontolo è il fatto che sia un personaggio dinamico, poiché egli passa da un iniziale ostilità nei confronti di Biancaneve all’accettazione e riconoscimento del suo valore. La protagonista stessa, invece, è in assoluto il personaggio meno dinamico, dato che lei, malgrado tutto quello che attraversa, si mantiene pura e innocente, incarnando pienamente il modello tradizionale di donna come angelo del focolare. Biancaneve, come protagonista, e ancora un personaggio parecchio stereotipizzato, per le epoche della realizzazione del film, è fin troppo perfetto e questo priva lo sviluppo della trama di evoluzione. Un personaggio che invece è parecchio piatto è il principe, di cui non si sa niente, e spunta fuori dal nulla, attratto solamente dalla bella voce di Biancaneve, con la quale sviluppa un rapporto con un semplice canto. Malgrado questo, gli eventi riescono a catturare e a muovere l’emotività dello spettatore, grazie all’atmosfera creata dalle abilità degli artisti e della colonna sonora, e i difetti che traspaiono bisogna sempre considerarli su una dimensione simbolica e fiabesca, per capire il reale valore della pellicola.
La genialità di Biancaneve e i Sette Nani sta anche nei suoi aspetti tecnici, molti dei quali erano considerati innovativi per l’epoca d’uscita, e che hanno posto le basi per le successive produzioni animate. Fra di esse abbiamo la multiplane camera, che conferisce profondità e tridimensionalità alle scenografie, e oltre a questa anche gli studi accurati dei movimenti umani, per i quali gli animatori hanno osservato diversi modelli, rendendo i movimenti più fluidi e naturali, curandosi persino di quelli labiali, facendo sì che venisse fuori un’animazione più in assoluto realistica. A porre delle buone basi è anche la presenza di canzoni, che hanno caratterizzato molti del successivi lungometraggi disneyani, dando vita a musical che ci hanno lasciato tanto soprattutto grazie alle loro melodie. Delle canzoni presenti nel film, una delle migliori è The Silly Song, cantata dai nani mentre passano momenti belli e divertenti insieme alla principessa, con dei toni tirolesi e rustici, che creano un bilancio nella drammaticità presente nella trama. Non da meno è l’iconica Hey Oh, la canzone che i nani cantano quando vanno a casa o a lavoro, che è quasi diventata un inno per i lavoratori.
Sebbene sia un film pieno di standard e poco dinamismo, Biancaneve e i Sette Nani resta un classico immortale, un cult del mondo dell’animazione e del cinema in generale, una perla che non può rimanere al di fuori della nostra cultura, senza della quale forse oggi il mondo dell’animazione non sarebbe mai diventato un fronte che ispira gli appassionati e gli studiosi.



Il sogno del mio cuor
è viver col mio amor

Voto: 4,5/5






mercoledì 19 febbraio 2025

Koda, fratello Orso



TITOLO: Koda, fratello orso

TITOLO ORIGINALE: Brother Bear

PRODUZIONE: Walt Disney Pictures, Walt Disney Features Animation

MUSICA: Phil Collins, Mark Mancina, Bulgarian Women Choir

REGIA: Robert Walker, Aaron Blaise

PAESE: Stati Uniti d’America

DURATA: 81 minuti

ANNO: 2003

TRAMA

Quando un giovane ragazzo molto impulsivo, di nome Kenai, viene magicamente trasformato in un orso non gli resterà altra scelta se non guardare il mondo con occhi diversi e apprendere importanti lezioni di vita. Attraverso scenari mozzafiato, animati in maniera magnifica, Kenai incontrerà tutti gli animali selvaggi che abitano la foresta, tra cui la spassosa coppia di fratelli alci Rocco e Fiocco, pelosissimi mammut, montoni e tanti altri!

RECENSIONE



Il mondo è pieno di magia
L’inverno lascia posto alla primavera
Tutto scorre e si trasforma continuamente

Sono orgogliosa di parlarvi un Classico Disney eccezionale. Si tratta di un titolo della Experimental Age (anni 2000-2008), che alla sua uscita fu considerato un flop e che io riprendo in considerazione, scoprendone il suo sottovalutato valore. Sto parlando di Koda, fratello orso, un film in cui l’animazione tradizionale dei personaggi si mescola con i background in grafica digitale, nel quale viene raccontata una storia di amore in una forma spirituale, tra i paesaggi dell’America del Nord-Est, nell’epoca del Pleistocene, quando i mammut vagavano ancora sulla Terra.

La trama pone delle basi interessanti, presentando una storia che parla di amore, di crescita e di maturazione, e lo fa su uno sfondo mistico ed esotico, raccogliendo elementi di tribalismo, leggende e culture native. Tutto comincia in un villaggio inuit, abitato da tre giovani fratelli, Sitka, il maggiore, Denahi, il mediano, e Kenai, il minore e il quale è prossimo a diventare un adulto. Gli eventi sono presentati con dei toni molto reali e maturi, raccontando la vita dei tre fratelli nel loro villaggio, e rappresentando i personaggi con delle caratteristiche che vanno al di fuori degli standard comunemente considerati disneyani. La trama, tuttavia, inizia ad assumere dei tratti più tipici, in seguito alla trasformazione di Kenai in orso, il quale diventa quasi una figura comica, cambiando da così a così. A rendere tutto ancora più disneyano è la comparsa del coccoloso cucciolo d’orso Koda, che guiderà Kenai attraverso i boschi, in un viaggio che lo dovrebbe riportare alla forma umana, e la presenza dei due alci stupidotti, Rocco e Fiocco. Un altro aspetto particolare della trama è che tra i personaggi non c’è una reale dicotomia tra buoni e cattivi, e anzi esistono solo sfumature e punti di vista. Questo tratto era già stato in parte preso in considerazione con Il Pianeta del Tesoro, ma in questo film viene sviluppato al meglio.
I personaggi sono caratterizzati con tratti del tutto realistici, soprattutto nella parte che precede la trasformazione. I tre fratelli sono decisamente molto umani, con molti lati di personalità, senza incarnare stereotipi e senza essere dei personaggi fatti e finiti. Sono realizzati in modo che sembrino dei ragazzi veri, dei normali adolescenti con le loro frustrazioni, insicurezze e paure, ma anche con il loro lato spavaldo. Kenai è il tipico adolescente focoso e impulsivo, talmente ansioso di dimostrasi adulto, che arriva spesso ad esagerare. Denahi rappresenta una personalità più pompata, dotato di presenza di spirito, per il quale si diletta a prendere in giro Kenai. Sitka, invece, è il più adulto dei tre. Ha un carattere molto maturo e consapevole, duro e al tempo stesso paziente coi fratelli. Non di minor importanza, tuttavia, è anche il personaggio di Koda, che rappresenta invece l’infanzia, e ha la stessa spontaneità e vivacità dei bambini. In qualsiasi caso, tutti i personaggi principali sono molto dinamici, la loro evoluzione viene percepita in modo intenso, senza che mantengano troppi tratti intatti. Il personaggio che, personalmente, ho trovato più dinamico e Denahi, che all’inizio si dimostra buffone e un po’ stupido, per non dire anche sarcastico e cinico. Successivamente, però, diventa più serio e inizia una graduale evoluzione in negativo, per poi redimersi e uscirne anche lui trasformato. La sua trasfomazione è senz’altro quella che si percepisce più a occhio. Il personaggio che invece è meno dinamico è proprio Koda, il quale, nonostante abbia anche lui una fase di passaggio, tuttavia la sua innocenza e la sua freschezza si mantengono intatte; Koda è più che altro un personaggio svolta, il cui scopo è far crescere Kenai. Per quel che riguarda Sitka, anche lui può sembrare, in parte, un personaggio con scopo solo funzionale, ma rispetto a Koda è più dinamico, dato che comunque subisce anche lui una palese trasformazione. Giudicando in maniera obbiettiva, Sitka è senza dubbio il miglior personaggio, se lo si guarda dal punto di vista della sua maturità e della sua capacità di essere una guida per i fratelli, di essere buono sia come capo che come uomo.



Yes, I’m on my way!

Da un punto di vista tecnico, il film è davvero incredibile. Presenta degli scenari molto elaborati, e i personaggi hanno un bellissimo character design, frutto di studi approfonditi, che traggono spunto dal popolo inuit e molto anche dagli animali, soprattutto gli orsi, che vengono resi in un modo originale. Come anticipato, l’animazione in 2D si fonde con il 3D, migliorando l’aspetto visivo e aggiungendo profondità alle scene, creando inoltre una perfetta armonia tra una tecnica più aggiornata e quella dei vecchi nostalgici classici. Il formato della visione parte in 1,75:1 e segue il formato 2,35:1 dopo la scena della trasformazione, come simbolo del cambio di prospettiva da parte di Kenai che passa dall’essere umano ad essere un orso. Tra le scene meglio rese, una è certamente la trasformazione, un momento pieno di magia, che lascia lo spettatore a bocca aperta, incantato dalle note della canzone cantata in lingua inuit dal Bulgarian Women Choir, rendendo la visione una sublime esperienza mistica.
E a proposito di canzoni, qui cominciano le note dolenti, dato che l’adattamento italiano non ha reso bene più di tanto, e anzi fa perdere molta potenza, soprattutto per Great Spirits e On my Way. In merito alla prima, cantata da Phil Collins e adattata per il film da Tina Turner, la cosa che meno mi è piaciuta, è che non ha evidenziato a dovere il legame tra i tre fratelli; in essa, la parte dedicata ai tre ragazzi viene descritta, in italiano, coi seguenti versi: Nella prateria vivevano insieme/Tre fratelli soli laggiù. In originale, l’amore fraterno che li lega è esternato in modo più esplicito: In this wilderness of danger and beauty/Lived three brothers bonded by love. La direzione delle canzoni è stata data proprio al grande Phil Collins, che già aveva collaborato con la Disney per Tarzan, e qui ritorna con la sua voce profonda che aggiunge un tocco in più di misticismo. Per il resto, tralasciando le parti cantate, la colonna sonora, diretta da Mark Mancina, ha reso al massimo l’idea del contesto tribale, combinando la musica d’orchestra con la musica di strumenti etnici. Al contrario delle canzoni, l’edizione italiana rende meglio dal punto di vista del doppiaggio, sul piano emotivo, con degli attori fantastici (Stefano Crescentini come Kenai, Nanni Baldini come Denahi, Fabio Boccanera come Sitka e Alex Polidori come Koda), che riescono a dare pathos ai loro personaggi, rendendo il loro sentimenti e le loro emozioni forti, intense e coinvolgenti. Se però osserviamo il doppiaggio da un punto di vista di senso, è migliore quello originale, soprattutto se consideriamo le le battute ironiche di Denahi. Nei minuti iniziali, questi chiama Kenai, prendendolo in giro, Baby brother, tradotto in italiano come Fratellino minore, termini che fanno perdere molto dell’impatto che la battuta ha in sè, e che sono stati compensati da Nanni Baldini facendo leva sul tono della voce.
In merito ai temi che vengono rappresentati, la Disney ha fatto senz’altro qualcosa di originale, per i tempi in cui il film è uscito, poichè ha oltrepassato quelli che venivano considerati i suoi tradizionali schemi, raccontando una storia piena di drammi, che non escludono la presenza della morte, evocata dal sacrificio di Sitka e dall’uccisione della mamma di Koda. Tuttavia però non possiamo certo aspettarci che un Classico Disney superi una determinata soglia, perché la drammaticità viene comunque smorzata da edulcoramenti, interpretazioni sobrie e parentesi comiche, fatti appositamente per creare un giusto bilancio di toni che rendesse la visione accessibile a tutte le età. Questo può risultare quasi frustrante, se si guarda il film con un punto di vista adulto e si desidera provare delle emozioni più forti. Insomma, la storia parte con uno sfondo spaccatamente realistico e drammatico, seppur con qualche tratto di umorismo, e poi per quasi tutta la fase del viaggio di Kenai per tornare ragazzo è tutta allegria e sorrisi. La drammaticità viene restituita al film nelle sequenze finali, ponendo un lieto fine poco disneyano, non del tutto accomodante, che ci lascia un senso di dolceamaro, facendoci provare un misto di gioia e malinconia. Se Koda, fratello orso fosse stato un manga o un anime, non si sarebbe certamente risparmiato coi drammi, e avrebbe fatto sentire tutto il pieno della sua complessità, sia nella trama, sia nei personaggi che nei temi presi in considerazione.

Tuttavia Koda, fratello orso è un Classico Disney indimenticabile, una scoperta sia per i nostalgici che per le nuove generazioni; una storia che racconta un amore che va al di là dei normali standard cinematografici e che ha in sè qualcosa di profondo e universale.


Brothers all the same

Voto: 4,5/5













martedì 11 febbraio 2025

"Best Supporting Actor. Luci, motore... attrazione!", di Joanna Chambers & Sally Malcolm

 


TITOLO: Best Supporting Actor. Luci, motore... attrazione!

TITOLO ORIGINALE: Best Supporting Actor

SAGA: Creative Types #3

AUTRICI: Joanna Chambers e Sally Malcolm

CASA EDITRICE: Triskell Edizioni

GENERE: Romance MM contemporaneo

PAGINE: 324

DATA DI PUBBLICAZIONE: 23 settembre 2024

PREZZO EBOOK: € 5,99

PREZZO CARTACEO: € 16,90



TRAMA



Quando Tag O'Rourke, attore in difficoltà e barista, incontra Jay Warren, figlio d'arte, è odio a prima vista. Odio... e attrazione. Il sogno di Tag di diventare una stella del cinema si sta sgretolando sotto il peso del debito studentesco e dei problemi finanziari della sua famiglia. Se la sua carriera non decollerà presto, dovrà trovarsi un vero lavoro. Dopo tutto, nutrire la famiglia è più importante che nutrire la sua anima. Fortunatamente la sua grande occasione è dietro l'angolo. Jay non ha mai voluto fare l'attore, è sempre stato destinato a seguire le orme della sua famosa madre. Ma la fama ha il suo prezzo e un'esperienza traumatica all'inizio della carriera gli ha lasciato una paralizzante paura del palcoscenico, motivo per cui si limita a lavorare in una televisione ed evita a tutti i costi le relazioni con le co-star. Sfortunatamente, il suo mondo sicuro sta per essere scosso.



RECENSIONE



È la fiducia la chiave di tutto. L'uno nell'altro e in voi stessi. Affidatevi le reciproche vulnerabilità, e avverrà la magia.



Sarò un po' di parte, avendo studiato teatro in prosa per tanti anni prima di passare alla scuola di musical, ma era da quando ho scoperto la copertina e la trama che smaniavo dalla voglia di leggere questo libro, l'ultimo della trilogia Creative Types. Stavolta i protagonisti sono Tag O'Rourke, il barista e aspirante attore angloirlandese amico di Aaron, e Jay Warren, figlio d'arte nonchè star di Sanguisughe, la serie televisiva creata da Lewis. I due si incontrano alla festa aziendale di Halloween raccontata nel primo volume, ed è odio a prima vista, al punto da farli diventare rivali in una gara di finti appuntamenti con Mason, che dura fino alla cerimonia  di premiazione descritta all'inizio del secondo libro. Quella stessa sera, inaspettatamente, rimangono soli e vivono un momento di grande passione che però si conclude in malo modo. Il giorno dopo arriva la sorpresa: sono stati scritturati entrambi come protagonisti di uno spettacolo teatrale su due poeti della prima guerra mondiale. Per Tag, che è in grande difficoltà economica e finora ha sempre avuto ruoli marginali, questa è l'occasione di lanciare la sua carriera come ha sempre sognato, mentre per Jay, messo sotto pressione dalla madre diva, è un modo di rimettersi in pista nel mondo del teatro dopo un trauma subito dieci anni prima, che lo ha spinto a limitarsi all'ambito televisivo. Così, nonostante i trascorsi, i due si preparano a trascorrere insieme sei settimane di prove a York, e mentre l'attrazione che hanno sempre cercato di negare cresce, persone senza scrupoli si fanno loro intorno come avvoltoi.

E l'Oscar per il libro più bello della trilogia va a, rullo di tamburi... Best Supporting Actor, la miglior conclusione che potessi desiderare. Vorrei mandare tanti complimenti e abbracci alle due autrici, che hanno fatto centro ancora una volta con una storia romantica, divertente, commovente e profonda, ambientata nel mondo che per me è e sarà sempre casa: il teatro, anche stavolta visto nelle sue luci e nelle sue ombre. Da un lato c'è la meraviglia di preparare uno spettacolo partendo da zero, con studi sul personaggio, prove su prove, l'adrenalina e la paura che aumentano a dismisura con l'avvicinarsi della prima rappresentazione in pubblico, il legame stretto tra cast, autori e regista. Dall'altro c'è la difficoltà di riuscire a entrare in questo mondo se non si hanno agganci, e viene denunciata la crudeltà di certi attori egocentrici disposti a pugnalare gli altri alle spalle pur di rimanere al centro dell'attenzione, e di certi critici/giornalisti alla Miguel Ramos sembre a caccia di pettegolezzi e con la penna distruttiva più avvelenata della mela di Biancaneve. Sono proprio loro gli antagonisti, e mi hanno fatta arrabbiare così tanto che avrei voluto rinchiuderli in una capsula spaziale e mandarli alla deriva nello spazio, nella speranza che venissero inghiottiti da un buco nero (anche se persino lui probabilmente li risputerebbe). Per fortuna, come sempre, abbiamo anche personaggi secondari interessanti e positivi, e due protagonisti favolosi, che se nelle prime comparsate mi avevano incuriosita, qui mi hanno conquistata definitivamente, in particolare Tag, in cui mi sono in parte riconosciuta perché anch'io come lui sono divisa tra il lavoro ai catering e affini e la scuola di teatro (musical nel mio caso specifico). È un ragazzo esuberante, orgoglioso, forte e determinato, che lotta con le unghie e con i denti per emergere nel mondo della recitazione e far sì che il suo talento venga riconosciuto, in modo da poter aiutare la sua famiglia senza fare più lavori saltuari o centellinare il denaro, ed è anche premuroso, adorabile e altruista. Jay invece è un figlio d'arte (con una madre stella del teatro piuttosto invadente e fratelli dalle carriere prestigiose) a cui tutte le opportunità sono state servite su un piatto d'argento, ma ha un animo sensibile, riservato, sente addosso la pressione delle aspettative e in passato ha subito un grosso trauma che lo ha spinto non solo a limitarsi a rimanere nell'ambito della televisione, ma anche a indossare una maschera nella vita reale per proteggersi. La loro storia d'amore, che si sviluppa a passi piccoli, è davvero splendida: unisce due anime appartenenti a contesti sociali ed economici differenti, ed è bellissimo vedere come piano piano iniziano a crescere insieme umanamente e artisticamente (le scene in cui recitano sono fantastiche e rese alla perfezione, così come i momenti romantici passionali), a comprendersi, a donarsi l'uno all'altro, a prendersi cura l'uno dell'altro con tanta fiducia e tanto amore.






-Sai, si tratta di fiducia. Fiducia nell'altra persona, nel suo supporto. Nel poter essere vulnerabili. È sempre difficile, ma se hai quella fiducia... è possibile.

-Stai ancora parlando di teatro?

-Sto parlando di tutto. Di teatro,sì, ma anche della vita. E dell'amore.



Questo libro non parla soltanto di amore e recitazione. Le autrici, cosa che ho molto apprezzato, hanno infatti dedicato spazio anche alla salute mentale, trattata allo stesso tempo con cura e realismo. I momenti difficili e dolorosi non mancano, naturalmente, ma ci sono anche speranza, tenerezza e passionalità, e soprattutto c'è un bellissimo messaggio che rende il titolo un fantastico gioco di parole: la fiducia è la chiave. Bisogna fidarsi di se stessi e dell'altra persona, del fatto che, se ci ama davvero, ci donerà senza riserve tutto il suo supporto, rendendoci possibile essere vulnerabili al suo fianco. E tutto questo emoziona.

Best Supporting Actor è un romanzo splendido che scalda il cuore, e credo che la trilogia non avrebbe potuto concludersi in modo migliore (una menzione speciale al bis, dove ritroviamo alcune nostre vecchie e amate conoscenze). Ringrazio tanto Joanna Chambers e Sally Malcolm per averla scritta, e Triskell Edizioni per averla portata in italiano. Speriamo in adattamenti cinematografici.



Puoi fidarti di me. Ti supporterò sempre.



VOTO: 5/5





martedì 4 febbraio 2025

"Tutta la musica che hai dentro", di Edward Underhill

 


TITOLO: Tutta la musica che hai dentro

TITOLO ORIGINALE: Always the Almost

AUTORE: Edward Underhill

CaSA EDITRICE: DeA

GENERE: Narrativa LGBTQIA+ contemporanea young adult con romance MM

PAGINE: 432

DATA DI PUBBLICAZIONE: 15 ottobre 2024

PREZZO EBOOK: € 9,99

PREZZO CARTACEO: € 17,90



TRAMA



Miles Jacobson ha sedici anni, suona il pianoforte ed è un ragazzo trans. La notte di Capodanno, durante un pigiama party con le sue migliori amiche, Rachel e Paige, promette a se stesso di realizzare due propositi. Riconquistare Shane, il fidanzato di quando Miles era ancora Melissa. E vincere la Tri-State Competition suonando Tchaikovsky. Ma Shane, dopo il coming out e il cambiamento di Miles, sembra irraggiungibile, e la nuova insegnante di pianoforte è rigida, non capisce, non empatizza, le sue domande così personali e bizzarre sul rapporto di Miles con la musica e con se stesso lo feriscono. Miles ce la mette tutta per tenere in piedi il suo nuovo mondo, ma per lui non c'è nulla di facile. Poi arriva Eric. È carino, è gentile, è queer. È... tutto quello che Miles stava aspettando, forse. Perché allora tutto continua a sembrargli così sbagliato?



RECENSIONE



Sono Miles. Sono trans. Sono gay. Questa musica mi appartiene.



Avevo bisogno di una storia dolce ma potente per celebrare chi persone senza scrupoli e assetate di potere vorrebbero far sparire, perciò ho scelto il libro che mi ha regalato Vincent Vega per Natale. A Upton, nel Wisconsin, vive Miles Jacobson, 16 anni, un pianista gay e transgender. Durante la notte di Capodanno fa due buoni propositi: riconquistare Shane (suo ex ragazzo nonché stella della squadra di football), che lo ha lasciato due settimane dopo il coming out come transgender, e battere l'odioso rivale Cameron alla Tri-State Competition suonando il Concerto per pianoforte e orchestra n.1 di Tchaikovsky. Ci sono però due problemi: Shane continua a ignorarlo, e la sua nuova insegnante di pianoforte, oltre ad essere molto severa,  lo pone di fronte a domande esistenziali che lo mettono in difficoltà, per esempio perché suoni? o chi sei davvero? Poi un bel giorno, dopo essersi esercitato nell'auditorium della scuola, incontra Eric Mendez, un aspirante fumettista di discendenza messicana appena trasferito da Seattle, che al momento di presentarsi gli chiede i suoi pronomi. I due diventano subito amici, e ben presto, dopo aver finto di stare insieme per farsi invitare a una prestigiosa festa di San Valentino, arriva il bacio destinato a cambiare ogni cosa. Ma la strada verso la felicità è ancora tutta in salita.

Sono felice di affermare che le mie aspettative sono state superate, e che Tutta la musica che hai dentro si è rivelato un romanzo dolcissimo e potente, nonché il più bello  che ho letto in questo primo mese del 2025. Innanzitutto vorrei mandare un forte abbraccio all'autore, che con una scrittura ottima e coinvolgente ha saputo dar vita a una storia tenera, toccante e piena di gioia, tra i cui cardini principali c'è la musica, in particolare quella classica. Sono sempre stata convinta che questa forma d'arte esista perché ci sono sentimenti ed emozioni troppo grandi per essere espressi a parole, e nel libro non fa eccezione. È proprio grazie alla musica che Miles, un protagonista in ci si riesce a calare completamente, può esprimere se stesso fino in fondo e sentirsi completo senza bisogno di dare spiegazioni a chicchessia, e ritengo che le sequenze in cui suona il pianoforte siano tra le migliori, perchè sono molto evocative e riescono a farti sentire ciò che prova lui. È un ragazzo perfettamente imperfetto, commette errori perché spesso il suo dolore gli impedisce di riconoscere e di rispondere in modo adeguato a quello degli altri, ma è bellissimo vederlo comprendere dove ha sbagliato, fare di tutto per rimediare e assistere al suo percorso di crescita sia umana sia artistica. Anche gli altri personaggi intorno a lui sono caratterizzati alle perfezione (compresi il padre e la madre Miles, che pur non essendo delle cattive persone, devono uno lavorare su ciò che prova e l'altra non limitare il supporto alla sola identità di genere del figlio) e il mio preferito in assoluto è Eric, una sorta di Taylor Zakhar Perez in miniatura, non solo per le ciglia perfette e la fossetta: è divertente, gentile, premuroso, capisce Miles, lo vede per quello che è davvero, lo sostiene e lo ama. La loro storia d'amore non è priva difficoltà, anzi, ci sono dei momenti in cui vorresti dare una bella tirata alle orecchie del pianista perchè si dia una svegliata, ma è deliziosa e sa scaldare il cuore. Vorrei tanto che ci fossero fanart.






L'amore può trascendere cose come i capelli corti, i vestiti e i pronomi e vederti per ciò che sei davvero. E crederti sulla parola. E abbracciare la tua vera essenza.


Non mancano momenti pesanti, che comprendono ad esempio l'uso di un linguaggio offensivo e le sue ripercussioni, e altri elementi che, in caso di necessità, potete verificare sul sito dell'autore. Ma posso assicurarvi che questo romanzo è pieno di gioia. È il romanzo di due ragazzi che cercano di trovare loro stessi a dispetto di tutto e tutti. È un romanzo che parla della gioia che provi quando abbracci la tua vera essenza e ti rendi conto che sei abbastanza così come sei. È il romanzo di chi riscrive la propria storia e ha il coraggio di scegliere di vivere in modo spudorato e trionfale. Ma soprattutto, è una lettera d'amore alla musica e alle persone queer e transgender, che come ribadisce l'autore meritano tutta la gioia possibile, alla facciaccia di chi cerca di cancellarle e di negarne l'esistenza. E permettetemi di dirlo, oggi più che mai c'è un gran bisogno di storie come questa: storie transgender raccontate da autori transgender, storie felici, piene d'amore e speranza e rispettose, non come certe produzioni razziste e transfobiche di registi umanamente terribili che lasciano messaggi tossici e mancano completamente di rispetto a ben più di una comunità (riuscendo, malgrado gli orrori sopracitati, ad aggiudicarsi una vagonata di nomination per i premi cinematografici). E io sono tanto felice e grata che questa storia esista.

Tutta la musica che hai dentro è un romanzo meraviglioso e gioioso che stringe il cuore in un caldo abbraccio, un romanzo più necessario che mai. Mando i miei più sinceri complimenti e un altro forte abbraccio a Edward Underhill, di cui spero di leggere altri libri al più presto. E se tra voi c'è qualche Miles: non siete soli. Meritate di essere amati e felici, e siete abbastanza, così come siete. Non permettete a niente e a nessuno di farvi credere il contrario. Vi voglio bene.



Sono sempre stato reale, e tu sei sempre stato in grado di vederlo.



VOTO: 5/5








martedì 28 gennaio 2025

"Stelle e Ottone", di Jude Archer

 


TITOLO: Stelle e Ottone

SAGA: The Hidden Society #1

AUTRICE: Jude Archer

CASA EDITRICE: Il Castoro Off

GENERE: Urban fantasy contemporaneo con romance FM

PAGINE: 480

DATA DI PUBBLICAZIONE: 23 gennaio 2024

PREZZO EBOOK: € 16,99

PREZZO AUDIOLIBRO: € 24, 95 (gratis per i primi tre mesi con Audible)

PREZZO CARTACEO: € 24,00



TRAMA



Ambra Valmori pensa che i suoi unici problemi siano l’imminente esame di archeologia persiana e la competizione spietata con il suo odiato rivale accademico, Ismael Sagredo. Ma gli astri hanno altri piani per il suo destino. Nel giro di una notte scopre che la magia esiste ed è ovunque intorno a lei, che i professori dell’Academia delle arti magiche di Seledia la considerano una minaccia alla loro segretezza e, peggio ancora, che il brillante mago che sarà costretto a farle da maestro è proprio Ismael. In una Venezia affascinante e inedita, insieme faranno luce sul misterioso passato di Ambra, che capirà di sé stessa molto più di quanto aveva mai immaginato. E scoprirà che le stelle possono essere crudeli.



RECENSIONE



L'inizio di una nuova era attende solo il tuo passo. Non temere il fuoco, consuma solo chi ha paura di bruciare.



Quattro scrittrici italiane, grandi amiche e appassionate di fantasy. Insieme sono diventate le sorelle Archer e hanno dato vita a una tetralogia di storie autoconclusive ma ambientate nello stesso universo. La protagonista della prima è Ambra Valmori, una ragazza genovese che frequenta il corso di laurea magistrale di Scienze dell'Antichità all'Università Ca' Foscari, Venezia. In apparenza conduce una vita come tante, ma quasi un anno prima è stata rapita e ritrovata nei canali dopo una settimana, senza più ricordi sull'accaduto né mignolo sinistro, e con attorno al collo un ciondolo che una sera, durante una festa, le viene rubato. Nel tentativo di recuperarlo viene attaccata da un gruppo di loschi individui, e per lo spavento tira fuori un potere che non sapeva nemmeno di avere. È così che Ambra scopre l'esistenza della magia e di Seledia, un'Accademia di arti magiche situata proprio nella laguna veneziana. C'è però un problema: per dimostrare di essere degna di farne parte viene affidata alla guida dell'ultima persona con cui vorrebbe avere a che fare: Ismael Sagredo, un brillante mago di discendenza persiana, da sempre suo rivale accademico all'Università Ca' Foscari. Insieme, i due ragazzi cercano di far luce sul passato di Ambra, e mentre i loro sentimenti cominciano a evolversi, il pericolo aumenta.

Spesso si tende a guardare i fantasy non anglofoni con sospetto e pregiudizio, ed è un vero peccato, perché credo che si possano trovare libri del genere molto belli dappertutto, Italia compresa. Per me Stelle e Ottone è uno di questi, perché con una scrittura davvero evocativa l'autrice è riuscita a intrecciare una storia avvincente dalle atmosfere misteriose e affascinanti, che costituiscono il maggiore punto di forza insieme all'ambientazione. Ti conduce per mano in una Venezia ancora più bella del solito, dove la magia e la polvere di stelle impregnano ogni angolo, ci sono tanti artefatti da scoprire e si può entrare con occhi colmi di stupore nella biblioteca di arti magiche più grande che si possa immaginare, dandoti l'impressione di essere lì, a studiare su antichi volumi di astronomia, alchimia, arcani e molto altro ancora, e a muovere i primi passi in un sistema magico molto promettente accanto ai personaggi, ai quali è facilissimo affezionarsi. La storia è raccontata in prima persona da Ambra, una ragazza vittima di un trauma che ha vissuto per troppo tempo sotto una campana di vetro, una ragazza intelligente e appassionata di misteri la cui curiosità finisce spesso per cacciarla nei guai, una ragazza competitiva che commette errori, e non pochi. Non ho condiviso molte delle sue scelte, ma l'ho apprezzata, perché rappresenta le persone che conservano la capacità di meravigliarsi e sognano di far parte di una società magica,  e man mano che la storia prosegue tira fuori il suo lato più dolce grazie a Ismael. Ah, Ismael! Lui mi ha conquistata fin dal primo momento, entrando a buon diritto nell'elenco delle mie cotte letterarie: è stupendo, e soprattutto è intelligente, buono, divertente e coraggioso (non giudicatemi, ma credo di aver trovato un altro fancasting per TZP). Lui e Ambra partono come rivali, si stuzzicano a vicenda, ma ci sono sempre l'uno per l'altra, e la loro storia d'amore, sviluppata a fuoco lento, è bellissima e sa far sognare con momenti di grande romanticismo (e anche uno più passionale). Ho molto apprezzato anche i personaggi secondari (alcuni dei quali queer), e mi è dispiaciuto non aver potuto conoscerli meglio, in particolare Nazar, il fratello di Ismael. Una menzione speciale merita anche un'altra grande star, che ha regalato uno dei momenti più esilaranti del libro: il mitico pavone di casa Sagredo, che secondo me è un caro amico dei tacchini Ripieno e Pan di Mais di Rosso, Bianco & Sangue Blu.








E anche ora che potevo chiamare le stelle per nome, l'unico nome che volevo pronunciare era il suo.



Attraverso una storia pazzesca in cui i colpi di scena si susseguono fino alla fine, il libro ci mostra come la sete di potere e conoscenza può talvolta spingerci a ricorrere a metodi che vanno al di là di ciò che è lecito. Denuncia una società elitaria in cui le persone che non rispondono a determinati canoni vengono guardate con sospetto e disprezzo e il cambiamento è considerato una minaccia, e parla di come sfidiamo i nostri limiti (ammetto che in alcune sequenze mi sono ritrovata a canticchiare Defying gravity). Ci sono tante questioni lasciate in sospeso e che avrebbero meritato un maggiore approfondimento, ma è comunque un romanzo che merita tanto, la cui ciliegina sulla torta è l'estetica curata nei minimi dettagli, con tanto di illustrazione di Martina Ponente e di carta dei tarocchi (che credo sia un elemento ricorrente della saga). 

Stelle e Ottone è il libro perfetto per chi ama i dark academia, i personaggi di moralità grigia e le storie d'amore, e segna l'inizio di una saga che promette faville. Non vedo l'ora di leggere i capitoli successivi.



Sono il viandante che segue la tua luce, Ambra. Non sono mai stato perduto, non mi sono rivolto a te in cerca di salvezza, eppure sei diventata la mia stella.



VOTO: 4,5/5










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